Le tre frasi da NON dire a un figlio che non vuole studiare

Come usare le parole giuste quando vorremmo stimolare i nostri bambini a impegnarsi di più nello studio? Ecco le TRE frasi che non bisognerebbe mai dire.

A chi non è mai capitato di demoralizzarsi per il commento infelice di un collega o un amico? Sicuramente a nessuno. Perché questo non dovrebbe accadere anche ai bambini? Anzi, proprio loro che non hanno ancora affinato gli strumenti per reagire alle critiche sono più fragili da questo punto di vista. Ad esempio, quando vorremmo stimolare i nostri figli a impegnarsi di più nello studio, o anche solo a finire i compiti se non addirittura a iniziarli, siamo sicuri di usare sempre le parole giuste? Non ci sarà qualche affermazione che prima o poi tornerà indietro con l’effetto boomerang restituendoci il risultato contrario?

Si parla molto dell’importanza della comunicazione con i figli. Sono stati scritti molti libri in merito e spesso è l’argomento centrale di tanti incontri per i genitori organizzati nelle scuole.
Quando ci spiegano tutti gli effetti contrari di frasi che diciamo cercando di solo smuovere i bambini, spesso arriviamo alla conclusione che servirebbe sempre un avvocato vicino. Parlare con i bambini è un argomento serio.
Avere ben chiari i punti di una comunicazione positiva, sarà utile per distinguere cosa dire e cosa non dire a un bambino che non vuole studiare.

Se non studi, non avrai mai un lavoro con cui mantenerti”. Questa frase è rappresentativa di tutte quelle piccole minacce dette cercando di stimolare i bambini a impegnarsi per il futuro. “Se non ti piace la scuola, il lavoro sarà ancora peggio”, “Un domani ti pentirai di non aver studiato”, ecc. Bruno Bettelheim nel libro “Un genitore quasi perfetto” spiega che per il bambino il futuro è domani, quindi se il genitore prospetta un futuro pieno di ostacoli e problemi, il bambino è portato a temere che ciò accadrà molto presto. La reazione spontanea di un bambino è di non studiare più, di allontanarsi dalla scuola perché quello che accadrà presto gli fa paura. Bettelheim definisce questa reazione “fobia scolare”: il desiderio di non voler diventare grandi e staccarsi dalla scuola per non crescere. Meglio quindi dimenticare le minacce o le prospettive nefaste.

Se prendi un buon voto, ti compro un regalo” è un esempio delle frasi dette sperando di dare un obiettivo più interessante dello studio stesso. Si lusingano i bambini con la promessa di un regalo, anche piccolo come una bustina di figurine o un capo di abbigliamento nuovo tanto desiderato. Daniel Pink nel libro “Drive” riporta gli esperimenti eseguiti su degli adulti testando gli effetti di un premio come motivazione. I partecipanti sono stati divisi in tre gruppi, al primo è stato promesso un premio se avessero finito un compito assegnato, al secondo è stato dato un premio al termine del lavoro senza averne fatto parola in precedenza, al terzo non è stato dato alcun premio. I risultati del primo gruppo sono stati i peggiori. Le persone che avevano ricevuto un premio a sorpresa ne furono felice sul momento, ma resero molto meno nel lavoro successivo. Il gruppo migliore è stato quello che lavorava cercando la motivazione nella soddisfazione personale o nel piacere per farlo. Meglio allora investire su umore e atmosfera che non in acquisti finali.

Non sei capace di fare questo compito” rientra nella tipologia di commenti detti per stuzzicare i bambini, spesso il tono fortemente ironico salva la situazione ma ci sono tanti esempi frequenti dello stesso genere che di ironia ne hanno molta di meno: “Non sei fatto per la matematica”, “Non capisci niente”. Mario Polito nel libro “La motivazione” indica la distruzione dell’autostima tra le cause principali capaci di demolire la motivazione allo studio. La difficoltà di certe situazioni e l’attrito che si crea tra genitori e figli può portare a dimenticare per un attimo che le parole possono mortificare un bambino. Nel tempo lui si farà l’idea di essere davvero un incapace. Quando un bambino è umiliato a causa della scuola, arriva presto ad odiarla. Risolvere esagerando in complimenti o in giudizi troppo celebrativi non porta comunque buoni frutti: si rischia piuttosto di vedere l’effetto boomerang nell’ansia del bambino che non vuole mai deludere i genitori. Meglio limitarsi a giudicare un compito sbagliato o difficile per quello che è senza generalizzare sul bambino.

La parola d’ordine è sempre: calma. Come insegna Polito il rimprovero deve essere dato con poche parole dette a toni di voce tranquilli e se è la motivazione che vogliamo stimolare, puntiamo sulla creatività e ascoltiamo gli interessi dei bambini.

[Tratto da "mammenellarete" di Daniela Poggi]